Motorsport amarcord: la 24 Ore di Daytona di George Waltman

24 Ore di Daytona 1968, 65 vetture ai nastri di partenza, per una volta partiamo dal fondo… Ultima, con un tempo valido per lo schieramento, una vettura già fuori dal tempo, una Morgan Plus 4, quella della sigla di Lupin III per intenderci, una spider con tratti da signora anteguerra tutta merletti e tea delle 17, i parafanghi che abbracciano le ruote seguendo forme che non copiano il resto del corpo vettura, come ormai non si fa più da decenni. Ma fin qui tutto bene. Niente da segnalare nemmeno se andiamo a dare un occhio all’entry list per vedere quale bizzarra squadra si prende la briga di approcciare il banking della Florida con un mezzo così bizzarro: “Aztec Motor Racing”, mai sentito, ma vabbè… Un attimo, iniziano le cose strane: unico driver iscritto Mr. George Waltman, forse è il caso di andarlo a conoscere. George se ne sta sereno con tutta la sua crew, ossia completamente solo, in attesa del via… Non lo disturbi, ma cerchi di capire dove vuole arrivare, cerchi il suo racing transporter per vedere come si è organizzato, e subito capisci: la Morgan con cui correrà, è il mezzo con cui è partito da casa, New York per la precisione. Sono già 1600 Km, ancor prima di iniziare si è fatto in solitaria una bella Mille Miglia dei bei tempi andati, tutta intera… Ma cerchiamo di capire meglio in quale cavolo di affare si sta infilando. L’Endurance sta vivendo una vera e propria Golden Era, l’evoluzione tecnica e sportiva sta buttando un pista dei veri e propri mostri inimmaginabili poche stagioni prima.. Giriamo completamente prospettiva e guardiamo le prime file: in pole position (quasi un minuto più veloce di George) una Ford GT40 in livrea Gulf guidata da Jacky Ickx; bassa, capace di superare abbondantemente i 300 Km/h, quella sua bocca spalancata sul muso da vedere negli specchietti deve sembrarti pericolosa come un luccio. Poco più indietro, un nugolo di Porsche 907 coda lunga, dei balenotteri di 2200 cc capaci anch’essi di inghiottirti nei rettilinei come se fossi insignificante plancton. E ancora una Howmet a turbina, quel sibilo da uccello predatore in picchiata terrorizzerebbe chiunque, ma tu sembri non curartene.
Dopo capisco, la gente inizia ad interessarsi alla tua storia e presto viene fuori che durante la Seconda Guerra Mondiale pilotavi i B29, le Fortezze Volanti: in effetti, cosa ti può spaventare adesso? Mentre noi già ti vogliamo bene e in un impeto stupidamente paterno siamo ancora a sperare di vederti cambiare idea, ecco la gara partire con te già bello staccato nel rettilineo di partenza, cosa di cui in effetti non ti curi affatto. Quattro ore di guida continua, brevi soste per rifornimenti vari ed un ora di pausa, come da regolamento FIA, dove un pilota deve avere 60 minuti di requie ogni 240. Ne approfitti per mangiare, magari riposarti, mentre un piccolo capannello di persone si innamorano della tua impresa e ti offre ogni tipo di aiuto, compresi meccanici e piloti delle altre squadre. Ed è stato bellissimo vedere come nel 2018 le cose nel pianeta Endurance siano ancora così, quando alla 24 ore di Le Mans la Dallara #47 in livrea Cetilar ferita aveva bisogno di cure, con tanti avversari che si sono proposti per dare una mano.
Ma torniamo nel 1968: mentre davanti i colpi di scena si susseguono con la Porsche che artiglia il suo primo grande successo da leggenda, la Morgan fila come un orologio e ti permette addirittura una smacco a James Garner – si, l’attore del film cult Grand Prix, acerrimo nemico di Steve McQueen, il profeta di Le Mans. Garner è dietro. Allo scadere delle 24 Ore non sei ultimo, una sinuosa e temibile Corvette C3 è costretta a guardarti la coda: incredibile. Forse tu però nemmeno te ne curi, te la sei goduta e basta, adesso cambi olio, un check alle gomme e sei già in partenza per New York: un’altra 1000 Miglia e finalmente a casa. Buon ritorno, Mr. George Waltman.

(Joseph Porta)